lunedì 06 gennaio 2025
 

Lettera del Presidente di Confindustria agli Imprenditori

Area: Informazioni generali - 09 gennaio 2004
Riportiamo di seguito il testo della "Lettera agli Imprenditori" scritta dal Presidente di Confindustria, Dott. Antonio D'Amato.




Cari colleghi imprenditori,

buon anno a Voi, alle vostre famiglie, alle vostre imprese, ai vostri collaboratori. Nel farvi i miei più calorosi auguri, voglio richiamare la vostra attenzione su tre questioni che dominano la nostra agenda del 2004: la trasparenza dei mercati finanziari e la riforma delle competenti authorities, resa indifferibile dalle vicende Cirio e Parmalat; il deficit di competitività che continua a gravare sul sistema-Italia; e infine un appuntamento di casa nostra, il rinnovo della presidenza di Confindustria.

Sull'orizzonte di questa annata si intravedono segni fortemente contrastanti.

Da una parte, l'economia internazionale, che negli ultimi anni tirava solo nell'Estremo Oriente, oggi presenta finalmente, negli Stati Uniti e in Giappone, i primi sintomi di una ripresa che sembra avere qualche capacità di trainare anche l'Europa e il nostro stesso paese. Ammesso che ci mettiamo rapidamente in condizione di agganciarla.

Dall'altra, l'economia italiana corre il pericolo di subire in maniera devastante l'impatto del caso Parmalat, le sue ripercussioni. C'è chi strumentalmente, sulla stampa nazionale e internazionale, parla di rischio-paese, di inaffidabilità del sistema Italia. E c'è chi utilizza la crisi Parmalat per mettere sotto accusa il capitalismo italiano, in particolare quello familiare.

A chi vuole alzare un gran polverone per chiamare sul banco degli imputati tutta l'industria italiana, per dipingere tutto il ceto degli imprenditori come un'accolita di affaristi senza scrupoli, a chi strilla che è finito il "mito dell'imprenditore": ai tentativi di tutti costoro dobbiamo reagire con determinazione, con energia e con fermezza.

E intendiamo farlo con la forza delle nostre ragioni. Le ragioni di milioni di imprenditori che giorno per giorno, con il loro onesto lavoro, il loro talento nell'inventare nuovi prodotti e nuovi processi produttivi, la loro capacità di stare sui mercati e trovarne di nuovi, il loro coraggio nell'affrontare le sfide della competizione, insomma con la loro passione per lo sviluppo e il progresso, tengono in piedi questo nostro paese, assicurano uno standard di benessere e un tenore di vita senza precedenti nel passato, allargano gli spazi dell'inclusione sociale, restringono le sacche di povertà ed emarginazione.

Al tempo stesso però diciamo a chiare lettere che occorre intervenire con grande rapidità, rigore e severità per prevenire e reprimere gli abusi, le scorrettezze, le anomalie che rendono poco trasparenti i mercati finanziari e minano la fiducia dei risparmiatori. Lo diciamo con la stessa fermezza con la quale in tutti questi anni non abbiamo mai mancato di porre l'accento su queste due esigenze prioritarie, appunto la trasparenza dei mercati e la tutela del risparmio.

Venendo alle cose da fare, bisogna muoversi lungo due direttrici.

Per rendere meno opaco il nostro mercato finanziario è necessario ridefinire le competenze delle authority di vigilanza, rafforzarne i poteri di controllo, dotarle di adeguati poteri sanzionatori. In pratica una Consob più simile al modello dell'americana Sec, un'Antitrust che sia competente anche sul sistema creditizio, una Banca d'Italia che svolga le funzioni di vigilanza sulla stabilità del credito. In ogni caso, queste riforme richiedono un dibattito aperto, serio e senza pregiudizi. E rapido. Finora, invece, la logica della competizione politica, delle polemiche personali, dei conflitti di potere ha fatto aggio sui problemi reali. Noi non possiamo non censurare che si sia perso un anno dal crack Cirio, che si sia dovuto arrivare alla crisi Parmalat perché finalmente governo e Parlamento iniziassero a discuterne per quella che in realtà è, una questione istituzionale.

D'altro canto, la vicenda Parmalat è assolutamente comparabile a tanti altri scandali finanziari che hanno caratterizzato le cronache internazionali degli ultimi anni, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dalla Francia all'Olanda. Per questo è improprio, strumentale e sbagliato parlare di rischio paese mentre bisogna essere più attenti, sotto ogni latitudine, al "rischio imbroglio". Ciò pone il problema fondamentale dell'inadeguatezza e della sempre minore credibilità dei rating e delle certificazioni di bilancio e rende necessaria una stringente ridefinizione degli standard con i quali le società di revisione e di rating debbono svolgere la propria attività. E, oltre a ciò, va anche realizzata una più efficace collaborazione a livello internazionale in materia di controllo e di vigilanza su quelle operazioni finanziarie che per le loro modalità, i loro tempi e la loro stessa natura, sfuggono alla competenza delle autorità nazionali e di fatto non sono regolate da nessun sistema normativo.

Subito dopo l'emergenza del caso Parmalat, anche nell'agenda di quest'anno resta prioritaria la questione della competitività. Dobbiamo innanzitutto rafforzare le nostre imprese, che significa concentrarsi sul core-business, fare industria piuttosto che finanza, crescere in dimensioni e quote di mercato, internazionalizzarsi non solo vendendo ma anche producendo sui mercati esteri.

Ma il problema della competitività è soprattutto un problema del sistema-paese. E non si può risolverlo senza riforme strutturali. Alcune di queste riforme sono state realizzate. Il nostro mercato del lavoro, che in Europa era uno dei più rigidi, presenta adesso straordinarie caratteristiche di flessibilità e al tempo stesso riduce i livelli di precarietà. Anche la riforma della scuola corrisponde in buona parte alle nostre aspettative, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di un più facile incontro tra preparazione culturale e formazione professionale. Una buona riforma è anche quella del diritto societario che, senza alterare un'antica tradizione di rigore, rende più agili gli strumenti a disposizione degli operatori. E, ovviamente, non può che trovarci favorevoli la riforma fiscale, che ha cominciato ad abbassare la pressione sulle imprese, con la riduzione dell'imposta sul reddito delle società, e introduce elementi di chiarezza e di certezza.

S'intende che gli effetti di queste riforme, a parte il fisco, si potranno percepire solo con il passare del tempo. E, tutto sommato, se ci limitassimo ad una contabilità di bottega, potremmo anche dirci soddisfatti di quello che abbiamo ottenuto nella prima metà di questa legislatura. Ma troppe sono le riforme che ancora restano da fare. Pensioni, università, ricerca, infrastrutture, sanità, liberalizzazione dei servizi pubblici locali, giustizia, ordini professionali, ristrutturazione del sistema istituzionale, compreso un razionale federalismo: tanto per citare le questioni principali. E troppo poco è il tempo che resta in una seconda metà della legislatura affollata di scadenze elettorali. Ma soprattutto è troppo scarso l'impegno che dimostrano le principali forze politiche, sia quelle di governo, sia quelle di opposizione.

Questo è per noi un grande motivo di preoccupazione in quanto, per quella che è la nostra diretta esperienza nell'arena della competizione internazionale, siamo consapevoli che, se perderemo ancora tempo, in pochissimi anni finiremo ai margini dei processi di sviluppo e la stessa incipiente ripresa dell'economia finirà appena con lo sfiorarci.

Cari colleghi, una data importante nel calendario del 2004 è quella in cui eleggeremo il nuovo presidente di Confindustria. E sono sicuro che anche questa volta sceglierete, in piena libertà e autonomia, un industriale che saprà rappresentare gli interessi delle imprese e coniugarli con quelli del Paese. La consultazione della base associativa ed il confronto che si svilupperà al nostro interno nelle prossime settimane permetteranno di individuare candidature, programmi, linee operative, rispondendo alle vostre indicazioni e aspettative.

Per quanto mi riguarda, mi permetto di ricordare a me e a voi alcuni valori che ormai rappresentano punti fermi nel comune patrimonio degli imprenditori di Confindustria.

In primo luogo, l'esigenza di rappresentare quelle imprese, dalle quali mi auguro che anche il nuovo presidente provenga, che oggi costituiscono la forza vitale del nuovo capitalismo italiano: le imprese che vivono all'aria aperta del mercato, senza rifugiarsi sotto il tetto di qualche protettorato.

Per questo occorre una persona che abbia dato buona prova di sé come industriale, che sia abituata a rischiare in proprio, che sappia cosa significa impegnare sul destino della propria impresa anche le proprie fortune personali, i propri averi, il proprio stesso nome.

In secondo luogo, l'autonomia di Confindustria deve rimanere in cima ai valori associativi come premessa e garanzia di un'azione efficace non solo in campo sindacale ma anche sul terreno politico-sociale, insomma lungo tutta la raggiera dei rapporti con le altre componenti della società italiana.

E' qui, intorno al concetto di autonomia, che le questioni di strategia si incrociano con quelle che dovrebbero essere, secondo me, le attitudini personali del presidente di Confindustria. Penso di poter riassumere tali attitudini dicendo che deve essere una persona autonoma e indipendente nella testa, nel cuore, nella tasca.

Nella testa: che cioè abbia autonomia e onestà intellettuale e che nei rapporti con i suoi interlocutori non manchi mai di un proprio punto di riferimento, di una propria bussola. Nel cuore: che cioè non ad altro senta di dover essere fedele che al suo mandato, uno spirito libero nella sua coscienza, che per questo ha il coraggio e la forza morale di sostenere le cause in cui liberamente crede. Nella tasca: che cioè non abbia vincoli di dipendenza economica, non abbia obblighi di obbedienza, e dunque non possa essere condizionato né dal potere politico né dalle banche, né da altri soggetti della vita economica e sociale, e invece possa agire in piena libertà.

Da ultimo, è importante che il presidente di Confindustria se vuole essere veramente rappresentativo di tutti noi, e non solo del punto di vista suo o di alcuni, sia sempre attento a rispettare le regole associative, le competenze degli organi istituzionali, le sedi dove si devono prendere le decisioni. Solo così si potrà tutelare la rappresentatività e l'autorevolezza di Confindustria, la sua natura di organizzazione profondamente democratica nel suo modo di agire e nel suo stesso modo d'essere, libera associazione di liberi uomini.
Antonio D'Amato

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